Nel 1934 chiesero a Thomas Mann di scrivere un articolo in occasione della morte di un uomo che per lui era sempre stato un padre: Sammi Fischer, il suo editore berlinese, l'ebreo ungherese che aveva contribuito in maniera determinante a fare di lui un autore di fama mondiale. Mann ricordava questo scambio di battute, avvenuto qualche mese prima, nel corso del suo ultimo incontro con l'anziano amico, ormai gravemente ammalato. Fischer fece un commento su una persona che conoscevano entrambi:
«Non è europeo» disse scuotendo la testa.
«Non è europeo, signor Fisher? E perché?»
«Non capisce niente delle grandi idee umane».
(Rob Riemen, “La cultura come invito”, in George Steiner, Una certa idea di Europa, Garzanti, Milano, 2006, p.18)
Con lo speciale dedicato ad una riflessione sull'”Idea Europa al tempo dei nazionalismi in riemersione”, il gruppo redazionale di “Formazione & cambiamento” si propone di dare un contributo al dibattito attuale – che certamente si intensificherà nelle prossime settimane con l’avvicinarsi delle elezioni per il rinnovamento del parlamento europeo – sul senso da attribuire all’appartenenza all’Europa.
Il nostro contributo muove dalla consapevolezza della necessità di reagire alle spinte centrifughe che attraversano oggi l’intero continente. Per la prima volta da quando, nel 1957, per impulso di Adenauer, Schuman, De Gasperi, Monnet ed altri, con il Trattato di Roma si è dato vita ad un processo di enorme portata per i cittadini del vecchio continente, in Europa si vanno manifestando e intensificando forti pressioni, spesso incoraggiate da potenze extra-europee, che si propongono di scardinare il processo unitario e, in definitiva, di infrangere un disegno di grande respiro storico (si pensi al referendum inglese sulla cosiddetta Brexit o ai focolai di nazionalismo riemergente in vari Paesi).
In una simile congiuntura che, proprio per la sfida che siamo tutti chiamati a fronteggiare, non esitiamo a considerare di portata storica, abbiamo fatto la scelta di orientare il nostro contributo evitando di proporre articoli e riflessioni specialistiche (di tipo politico, giuridico, economico o sociologico) sul tema oggetto del nostro “speciale” ben sapendo che di tali contributi il dibattito attuale è (e sarà nelle prossime settimane) ricchissimo. Abbiamo pensato invece di dare la parola ai giovani, e in particolare a quanti dell’Europa hanno fatto una concreta esperienza di vita, di studio o di lavoro in vari paesi dell'Unione.
L’idea che ci ha mosso è quella di illustrare e descrivere mediante testimonianze autobiografiche di un piccolo numero di giovani individuati sulla base della loro disponibilità a raccontarsi (e dunque senza pretese di completezza o di rappresentatività), il “sentimento europeo” radicato tra larghe fasce di cittadini e in particolare tra le nuove generazioni.
E’ un sentimento basato su un’idea di appartenenza, divenuta ormai quasi fisiologica, all’Europa che è considerata come luogo dell'esercizio di un diritto di cittadinanza largo e privo di chiusure nazionalistiche, un diritto che si esprime attraverso libertà di circolazione, di studio, di sviluppo personale e professionale, di impegno civile, di lavoro.
Gli oltre 70 anni di pace solida (quasi un miracolo in un continente percorso da guerre feroci e distruttive) e la costruzione (graduale, lenta, tortuosa e “zigzagante” quanto si voglia, ma decisa e mai messa seriamente in discussione) di un soggetto istituzionale orientato all'unità, rappresentano un fatto storico di assoluto valore e comunque prezioso per tutti.
Al di là delle non rare tensioni tra i singoli stati (la cui composizione risulta sempre più riconducibile – e quasi sempre ricondotta – entro lo spazio delle istituzioni sovranazionali); e al di là del riemergere di tanto in tanto di egoismi nazionalistici e relative pressioni su temi particolari, il processo unitario sembra talmente radicato nelle culture, nei comportamenti e nelle pratiche di vita degli europei, specie di quelli più giovani, da poter essere considerato solido e probabilmente irriducibile.
Nonostante i numerosi problemi politici ed economici e nonostante i rischi causati dai riemergenti nazionalismi dell’attuale fase del processo di costruzione dell’Unione, la tensione “cosmopolitica” legata al sentirsi cittadini europei (conseguenza immediata della scomparsa dei vecchi confini) si manifesta e si esprime concretamente come aumento delle libertà individuali, come moltiplicazione delle opportunità, intensificazione degli intrecci relazionali, di dilatazione dello spazio vitale, fisico e culturale per i singoli e per i gruppi.
Lo status di cittadino europeo è diventato, nell’autopercezione di molti, parte integrante, quasi data per scontata, del modo di essere dei giovani di tutto il continente.
Questo ci raccontano le 12 storie di vita delle ragazze e dei ragazzi che hanno aderito al nostro invito (e che immaginiamo simili a quelle che potrebbero raccontare le centinaia di migliaia di loro coetanei di vari Paesi del continente che hanno alle spalle storie analoghe).
Leggendo i loro testi – problematici certo, ma sempre decisamente orientati a rivendicare il valore culturale politico e soprattutto umano dell’essere cittadini europei – si può cogliere, nella varietà delle espressioni narrative di ciascuna microstoria, il racconto di esperienze dense dei molti valori che hanno arricchito sul piano personale e professionale chi ne è stato protagonista. Ma si può cogliere anche – e questo merita una sottolineatura speciale – come l’idea di Europa sia talmente radicata nel loro modo di percepirsi come gli europei del futuro, da poter essere considerata solidissima e si spera irreversibile.

Mi chiamo Letizia, ho trent’anni (purtroppo ancora per pochissimo) e sono nata e cresciuta a Roma. Dopo gli studi classici e anche un po’ omologato-borghesi, mi sono laureata in economia a Tor Vergata. Per motivi diversi ho sempre sentito la necessità di andare a studiare fuori dall’Italia: un po’ perché a differenza di molti amici non ho fatto l’Erasmus ma soprattutto perché, per curiosità e anche ambizione, avevo voglia di sperimentare diversi metodi di studio e scoprire nuovi obiettivi o percorsi.
Sono arrivata a Lisbona perché mi sono innamorata del portoghese.
Mi chiamo Cristina Ceccarelli, ho 31 anni e sono nata a Roma, dove ho vissuto la maggior parte della mia vita.
Sono della generazione Xennials, di quelli che ricordano come funzionava un telefono a gettoni, ma che oggi non potrebbero fare a meno del cellulare, che ricordano lo stupore per la caduta del muro di Berlino, ma non hanno mai avuto la percezione che in Europa esistessero frontiere.
L'estate scorsa ho conosciuto un ragazzo mio coetaneo, nato e cresciuto a Firenze, figlio di due genitori marocchini che, da diversi anni, dopo la maturità, si è trasferito a Parigi per l'università. Mi raccontava di essere convintamente ateo e orgogliosamente omosessuale. Mi diceva di non conoscere l'arabo e di non ricordare con gran piacere i periodi estivi in cui da piccolo lo portavano dai nonni e dai cugini, non so più in quale città del Marocco. Come se volesse rispondere a una mia domanda, come se già la conoscesse e io stessi per porgergliela, mi rispose: “No, io non sento le mie radici marocchine. E neanche tanto quelle italiane, visto che a Firenze ci torno giusto per vedere i miei, mentre la mia vita, i miei amici, i miei interessi e casa mia sono a Parigi.”
Sono Rebecca, 25 anni a maggio, da poco laureata in giurisprudenza. Vivo a Lucca, piccola città vicino Pisa dove ho frequentato l’università. È stato proprio grazie all’Università di Pisa che ho avuto la possibilità di sentirmi “cittadina europea”. Il progetto Erasmus, infatti, mi ha concesso di frequentare per nove mesi un’università straniera.
Quando di recente mi venne rivolta la domanda, ti senti europeo? Da quando? Ho immediatamente ricordato la mia infanzia: alle elementari studiavo le guerre mondiali, mio nonno mi corresse e disse “è sbagliato chiamarle guerre mondiali, è più appropriato chiamarle guerre civili europee.” E questo mi fece riflettere: "ma allora non è vero quanto è scritto sui libri di storia, sul cattivissimo Radetsky, il nemico austro-ungarico e quant’altro?"
Mi chiamo Francesco Pretagostini, ho 24 anni e oggi abito a Sassuolo, in provincia di Modena. Sono rientrato in Italia a settembre del 2018 per vedere come sarebbe stato provare a lavorare nell’azienda che ho sempre sognato da bambino: Ferrari.
Ieri sera sono stato a cena da una coppia di amici, Hélène e Guglielmo, che sono da poco tornati a Roma: si erano conosciuti e messi insieme a Roma qualche anno fa, poi si sono trasferiti a Parigi e da qualche mese hanno deciso di rientrare in Italia. Abbiamo passato una bella serata, finendo inevitabilmente a parlare della Francia, dell’Italia, delle nostre esperienze di vita tra Roma e Parigi.

